‘Cristo Risorto: volto del Padre, ricco di misericordia’
DIO, AMORE FEDELE
Gesù ci racconta chi è Dio, ci ha riferito che il progetto del Padre, da sempre e per sempre, è la redenzione dell’umanità. Infatti, tutta la storia della salvezza narra la fedeltà dell’amore di Dio nonostante le tante infedeltà e tradimenti da parte del popolo. L’amore di Dio non è venuto meno anche quando gli uomini lo hanno negato, ripudiato e si sono rivolti ad altri idoli. Dio Padre non si è mai stancato di cercare l’uomo, chiamarlo alla conversione, perdonando i suoi peccati, dargli continuamente nuove possibilità di salvezza e di riscatto. Egli è “il ricco di bontà, Colui che risana tutte le infermità, salva dalla fossa la nostra vita e sazia di beni l’esistenza” (Salmo 103). E proprio “per la salvare dalla fossa della morte la nostra vita”, Dio Padre “giunta la pienezza del tempo, mandò suo Figlio, nato da donna, nato sotto la legge, per riscattare quelli che erano sotto la legge, affinché noi ricevessimo l’adozione” (Galati 4,4-5). In Gesù, il Padre ci ha costituito suoi figli prediletti per comunicarci la sua vita divina e per renderci veramente felici.
2. SENZA DIO IMPOSSIBILE VIVERE
Eppure ancora oggi l’uomo cerca di estromettere Dio dall’orizzonte della propria vita. Non gli riconosce il primato che gli spetta. Vive come se Dio non esistesse e non lo avesse mai amato. L’uomo contemporaneo vuole fare a meno di Dio. Pensa di poter contare solo sulla propria intelligenza, sui progressi scientifici e tecnologici, sulle logiche economiche e di mercato. Ma non si accorge che tutto questo è una illusione. Facendo a meno di Dio, l’uomo perde anche se stesso perché viene a mancare il valore della sua esistenza, la ragione del suo essere. Senza Dio, l’uomo perde il senso dell’orientamento. Non sa più chi è, da dove viene, dove è diretto, qual è il fine ultimo della suo esistere. “L’uomo non è perfetto in sé, l’uomo ha bisogno della relazione, è un essere in relazione. Non è il suo cogito che può cogitare tutta la realtà. Ha bisogno dell’ascolto, dell’ascolto dell’altro, soprattutto dell’Altro con la maiuscola, di Dio. Solo così conosce se stesso, solo così diviene se stesso” (Benedetto XVI, Conclusione degli Esercizi Spirituali della Curia Romana, 27 febbraio 2010). Infatti, anche un ateo può arrivare a provare tristezza per l’ “assenza di Dio”, come si evince da questa accorata supplica scritta dal russo Aleksander Zinovèv (1922-2006), logico riconosciuto a livello internazionale, sociologo e scrittore:
«Ti supplico, mio Dio, cerca di esistere, almeno un poco, per me, apri i tuoi occhi , ti supplico! Non avrai da fare nient’altro che questo, seguire ciò che succede: è ben poco! Ma, o Signore, sforzati di vedere, te ne prego! Viver senza testimoni, quale inferno! Per questo, sforzando la mia voce, io grido, io urlo: Padre mio, ti supplico e piango: esisti! ».
Dio non ha bisogno di difensori che dimostrino al mondo la necessità della sua esistenza. Occorrono testimoni credibili che sappiano rendere ragione della propria speranza, che “mostrino” con la condotta della vita non soltanto la Sua presenza nel mondo ma soprattutto che Egli è “il Padre del Signore nostro Gesù Cristo che ci ha benedetti con ogni benedizione spirituale nei cieli, in Cristo. In lui ci ha scelti prima della creazione del mondo, per essere santi e immacolati al suo cospetto nella carità, predestinandoci a essere suoi figli adottivi per opera di Gesù Cristo, nel quale abbiamo la redenzione mediante il suo sangue, la remissione dei peccati secondo la ricchezza della sua grazia” (Efesini 3, 1-7).
3. DIO È IL PADRE MISERICORDIOSO
L’uomo contemporaneo dovrebbe riscoprire la paternità di Dio, sentirlo vicino, prossimo. Avvertirlo come presenza d’amore, di pace e di misericordia, che si china sulle ferite umane per guarirle, che ascolta il grido del dolore umano per lenirlo, che prende su di sé ogni sofferenza per consolarla e condividerla. Nel quarto Vangelo Gesù nomina Dio in due modi: 32 volte lo chiama con il termine abituale di Dio (ho theos) e 109 volte con il nome specifico di Padre (ho patêr) abitualmente accompagnata dall’aggettivo possessivo “mio”. Per Gesù, quindi, “Dio” è il “Padre”. Egli è l’unico vero Dio (Giovanni 17,3), per cui soltanto chi conosce il Padre conosce l’unico vero Dio. Ma poiché soltanto Gesù rivela il Padre, ne segue che soltanto per mezzo di Gesù gli uomini possono conoscere l’unico vero Dio. L’unico vero Dio è dunque il Padre. Ma chi è per Gesù il Padre? E’ Amore misericordioso. Siamo qui al punto più alto della rivelazione cristiana su Dio. Scrive a questo proposito Sant’Agostino: “Se non avessimo inteso che questo soltanto dalla bocca dello Spirito di Dio – Dio è amore – non avremmo da cercare altra cosa” (In Epist. Hoh., tr. VII, 4 [PL 35, 2.031]). “Il rendere presente il Padre come amore e misericordia è, nella coscienza di Cristo stesso, la fondamentale verifica della sua missione” (Giovanni Paolo II, Dives in misericordia, 3). Le più suggestive parabole raccontate da Gesù, per farci conoscere la persona del Padre, sono quelle trascritte nel capitolo 15 del Vangelo secondo Luca e comunemente definite le “parabole della misericordia”. Infatti, esse ci aiutano a comprendere che l’amore di Dio per gli uomini è un amore salvatore: gli uomini sono peccatori, lontani da Dio, e il peccato li conduce alla morte eterna. Hanno perciò bisogno di essere salvati dal peccato e dalla morte. “Quando Gesù nelle sue parabole parla del pastore che va dietro alla pecorella smarrita, della donna che cerca la dracma, del padre che va incontro al figliol prodigo e lo abbraccia, queste non sono soltanto parole, ma costituiscono la spiegazione del suo stesso essere ed operare. Nella sua morte in croce si compie quel volgersi di Dio contro se stesso nel quale Egli si dona per rialzare l’uomo e salvarlo — amore, questo, nella sua forma più radicale” (Benedetto XVI, Deus Caritas est, 12). La salvezza può venire soltanto da Dio. Gli uomini da soli non possono salvarsi e liberarsi dal peccato. Il potere di “togliere il peccato dal mondo” è proprio di Dio. La sua misericordia è il limite imposto al male. La misericordia è la prima qualità dell’amore di Dio e la prima caratteristica della sua relazione nei confronti dell’uomo che ha peccato. Il peccatore è figlio di Dio e anche nel suo tragico stato di peccatore – che è uno stato di morte e di perdizione – egli non solo non è dimenticato, ma è ricercato (Luca 15, 4; 8), è amato dal Padre (Luca 15,20), diventa motivo di gioia: “c’è gioia davanti agli angeli di Dio per un peccatore che si converte” (Luca, 15,10).
4. SIATE MISERICORDIOSI!
Dalla fede nel Padre ricco di misericordia proviene la provocazione più forte alla conversione del cuore. Il primato dell’amore sulla giustizia non significa fuggire dalla responsabilità. Non possiamo pensare con troppa facilità: “Pecco, tanto poi il Signore mi perdona …”. Al contrario, l’amore misericordioso del Padre ci spinge fortemente ad imitare colui che per salvare l’uomo è salito sulla croce, portando su di sé le nostre malattie e i nostri peccati. Amati immensamente dal Padre per mezzo di Gesù nello Spirito Santo, siamo chiamati a vivere anche noi nell’amore sviscerato della figliolanza e della fraternità. “Siate misericordiosi, come è misericordioso il Padre vostro” (Luca 6,36): è l’invito chiaro e netto di Gesù ai cristiani di tutti tempi perché diventino testimoni della misericordia del Padre. La misericordia che continuamente il Padre riversa in abbondanza nei nostri cuori deve essere donata e condivisa con chi ci sta accanto. I cristiani pregano il Padre perché rimetta a noi i nostri debiti come noi li rimettiamo ai nostri debitori. La persona umana, oltre che esserne l’oggetto, è anche capace di misericordia, è soggetto attivo di tale modo di amare. Farsi misericordia significa innanzitutto accogliere l’altro così come è, con i suoi limiti e miserie, con le sue fragilità e peccati; perdonare le offese ricevute, dimenticando lo sgarbo e l’ingiustizia subiti; farsi prossimo di chi si trova in difficoltà e in situazioni di vita precarie e dolorose; alleviare le sofferenze altrui, consolare chi è sconfortato, donando forza e speranza al sofferente e ammalato; andare incontro alle necessità dei poveri, dei piccoli, degli uomini, di coloro che hanno bisogno del nostro aiuto, del nostro affetto e solidarietà. La carità è la via maestra per manifestare agli altri l’infinita misericordia di Dio. Egli ci chiede espressamente di perdere la propria vita per salvarla (Marco 8,35). Non ci sono scappatoie: la realizzazione di sé come figli di Dio passa attraverso il donarsi. Gesù ha inaugurato la “legge nuova” dell’amore. Ci ha spiegato che cosa significa amare fino al dono di sé: “Amatevi come Io ho amato voi. Non c’è amore più grande di colui che dà la vita per la persona amata” (Giovanni 15, 12-13). Il vertice dell’amore è amare senza misura.
“Solo la mia disponibilità ad andare incontro al prossimo, a mostrargli amore, mi rende sensibile anche di fronte a Dio. Solo il servizio al prossimo apre i miei occhi su quello che Dio fa per me e su come Egli mi ama. I santi — pensiamo ad esempio alla beata Teresa di Calcutta — hanno attinto la loro capacità di amare il prossimo, in modo sempre nuovo, dal loro incontro col Signore eucaristico e, reciprocamente questo incontro ha acquisito il suo realismo e la sua profondità proprio nel loro servizio agli altri. Amore di Dio e amore del prossimo sono inseparabili, sono un unico comandamento. Entrambi però vivono dell’amore preveniente di Dio che ci ha amati per primo. Così non si tratta più di un « comandamento » dall’esterno che ci impone l’impossibile, bensì di un’esperienza dell’amore donata dall’interno, un amore che, per sua natura, deve essere ulteriormente partecipato ad altri. L’amore cresce attraverso l’amore. L’amore è « divino » perché viene da Dio e ci unisce a Dio e, mediante questo processo unificante, ci trasforma in un Noi che supera le nostre divisioni e ci fa diventare una cosa sola” (Benedetto XVI, Deus Caritas est, 18).
5. MARIA, MADRE DELLA MISERICORDIA
La Vergine Maria, sotto la croce del Figlio, è la Madre della misericordia. Gesù morendo l’ha donata al mondo come Madre dell’umanità peccatrice. Ha accompagnato con provvida attenzione la Chiesa nascente e ora “con la sua materna carità si prende cura dei Fratelli del Figlio suo ancora peregrinanti e posti in mezzo ai percoli e affanni, fino a che non siano condotti nella patria beata” (Lumen Gentium, 62). Con la mediazione di Maria l’amore misericordioso di Dio passa attraverso le viscere materne di una nostra sorella, madre di Dio e madre nostra. Ne è un chiaro esempio l’episodio delle nozze di Cana (Giovanni 2, 1-11): Ella si accorge di una necessità, prova materna compassione e si attiva presso il Figlio Suo. Questo vuol dire essere misericordiosi come il Padre. Ecco perché, generazioni di cristiani si rivolgono alla Madonna salutandoLa: Salve Mater misericordiae! Come dice l’etimo latino della parola, il cuore di Maria si apre agli infelici. Qualunque sia la natura del loro male: la malattia, il peccato, la violenza subita, la povertà, il lutto … i cristiani si rivolgono alla Madonna certi di essere ascoltati e guariti. Per questo la sapienza della Chiesa può attribuire alla Vergine le splendide espressioni del libro del Siracide: “Io sono la madre del bell’amore e del timore, della conoscenza e della santa speranza … Avvicinatevi tutti a me, voi che mi desiderate e saziatevi dei miei frutti. Poiché il mio insegnamento è più dolce del miele, e il possedermi è più dolce del favo di miele” (24, 18-20). Il caro confratello vescovo Tonino Bello, morto in concetto di santità, ha scritto una bellissima preghiera alla Madonna, invocandola come la “Donna del Terzo Giorno”. E proprio con questa accorata supplica alla Vergine Maria, desidero formulare gli auguri di una Santa Pasqua, pregando perchè Gesù Risorto vi conceda la speciale grazia di guardare sempre la vita dal versante del Terzo Giorno:
“Santa Maria, donna del terzo giorno, donaci la certezza che, nonostante tutto, la morte non avrà più presa su di noi. Che le ingiustizie dei popoli hanno i giorni contati. Che i bagliori delle guerre si stanno riducendo a luci crepuscolari. Che le sofferenze dei poveri sono giunte agli ultimi rantoli. Che la fame, il razzismo, la droga sono il riporto di vecchie contabilità fallimentari. Che la noia, la solitudine, la malattia sono gli arretrati dovuti ad antiche gestioni. E che, finalmente, le lacrime di tutte le vittime delle violenze e del dolore saranno presto prosciugate come la brina dal sole della primavera.
Santa Maria, donna del terzo giorno, strappaci dal volto il sudario della disperazione e arrotola per sempre, in un angolo, le bende del nostro peccato. A dispetto della mancanza di lavoro, di case, di pane, confortaci col vino nuovo della gioia e con gli azzimi pasquali della solidarietà. Donaci un po’ di pace. Impediscici di intingere il boccone traditore nel piatto delle erbe amare. Liberaci dal bacio della vigliaccheria. Preservaci dall’egoismo. E regalaci la speranza che, quando verrà il momento della sfida decisiva, anche per noi come per Gesù, tu possa essere l’arbitra che, il terzo giorno, omologherà finalmente la nostra vittoria”. Amen
†Andrea MUGIONE
Arcivescovo Metropolita di Benevento