Ritorna nel Sannio il gruppo di ricerca del Dipartimento di Scienze del Patrimonio culturale dell’Unisa
Sta per essere presentato l’interessante lavoro etno-antropologico frutto di un intenso lavoro di osservazione partecipante e lavoro sul campo avvenuto nel 2010.
A guidare il gruppo di esperti e studiosi, il professore Vincenzo Esposito, docente universitario di Antropologia culturale presso l’ateneo di Salerno che ha finanziato il progetto di ricerca scientifica.
La presentazione del volume di circa 300 pagine elaborato con la fattiva e preziosa collaborazione del Rione Croce avverrà domenica 13 agosto, alle ore 18, in piazza Croce, dinanzi alla chiesa di San Rocco, simbolo di uno dei quattro rioni di cui il paese si compone.
Ad aprire il dibattito, il decano del Rione Croce, Antonio Di Virgilio che passerà la parola agli studiosi Sebastiano Martelli, Vincenzo Esposito ed Alvaro Ceccarelli, impegnato nella proiezione di uno slideshow.
Il lavoro cartaceo si snoda tra dieci capitoli scritti da dieci autori diversi che mirano ad un unico obiettivo: attraversare il rito settennale con uno sguardo etnografico, fotografico, emotivo e restituirlo al popolo guardiese. Tutto questo per lasciare traccia di uno studio accurato nato dalla partecipazione ai riti del 2010 che videro 4500 guardiesi partecipanti, 150 mila visitatori e circa 900 battenti.
La ricerca, come spiega il professore Esposito nelle «Questioni preliminari» che introducono il testo, segue etnograficamente due strade: quella linguistico-letteraria basata sull’analisi di documenti scritti e orali ed una via audiovisiva, basata su immagini e suoni.
Al ritorno al passato che riporta il lettore al dato storico del rito, al mito di fondazione ed ai ricordi, si alternano brevi e immediate note del «Diario di campo». Questi frammenti diaristici svelano conversazioni tra l’antropologo e gli informatori noti o anonimi. Parole rivelate dai guardiesi che mostrano dubbi sull’esposizione mediatica della festa penitenziale, riservatezza o difesa di autenticità e unicità dell’intero rito.
Rituale questo di Guardia Sanframondi definito «moderno» dall’antropologo Esposito riprendendo il concetto di Turner, in quanto «ricostituisce la societas guardiese mettendone in scena la sua interezza». Grande attenzione è data allo studio delle relazioni interne alla comunità, alla struttura sociale caratterizzata dal senso di appartenenza ai quattro rioni e alla presenza di minacce di disgregazione che si risolvono nel gesto di penitenza settennale.
Il libro ricorda anche uscite straordinarie della statua dell’Assunta, quando in caso di clima sfavorevole all’agricoltura, la si portava in processione per chiederle di mettere in atto le sue virtù taumaturgiche e protettive. E’ il caso, ad esempio, dell’anno 1960 quando le piogge torrenziali fecero sentire tale bisogno nella comunità proprio mentre nasceva la prima cooperativa vitivinicola «La Guardiense» ad opera di 33 soci.
Sempre Esposito attingendo dall’universo culturale contadino, ripropone una simbologia del sangue che mette in rapporto la morte e la vita: due poli opposti che ritrovano l’equilibrio nell’autoflagellazione.
Molto interessante il secondo capitolo del volume, curato dalla professoressa Dina Gallo. Si tratta di un excursus degli studiosi che hanno puntato la lente d’ingrandimento sulla Festa dell’Assunta vivendone il tessuto sociale. Si parte con Lombardi Satriani, iniziatore della riflessione sul ruolo culturale del sangue; Lello Mazzacane che analizza i cambiamenti della struttura festiva nel tempo comparando i riti del ’68-’75 e’ 82; Gianfranca Ranisio che si sofferma sull’uscita straordinaria del 1974 a causa della siccità mettendo in evidenza dati socio-economici di una comunità tutt’altro che arretrata; Alfonso Maria di Nola; Vittorio Lanternari; Marino Niola nominato “ambasciatore di Guardia nel mondo” nel 2010; Marialba Russo che lascia un suo contributo fotografico nel 1978; Marco Marcotulli che parla dei riti settennali sul web sul sito “Museo della Festa”.
Affidata ad Antonio Severino una descrizione densa della manifestazione del 2010 in tutte le sue componenti: misteri, comitati, cori, clero, autorità civili, flagellanti, battenti. In particolare, viene osservato anche il meno noto rituale della «Vestizione» della statua mariana. Tale momento avviene a porte chiuse sia per ragioni di sicurezza dovute all’enorme quantità di oro con cui è adornata, sia per esplicitare ancora una volta quel concetto « del celare e del mostrare» che contraddistingue anche i battenti medesimi. Essi, infatti, si coprono il volto durante il gesto di penitenza, per svestirsi subito dopo l’incontro con la Madonna, inserendosi all’interno della corteo con abiti civili.
Il compito di fornire immagini è stato affidato ad Alvaro Ceccarelli, incontrato per caso dal gruppo dell’Università di Salerno nel borgo. Si tratta di foto «scattate con la mano sinistra, ossia quella del cuore», le quali non cercano lo scoop o l’evento sensazionale ma nascono da «una passione per il genere umano».
Originale il contributo di Pasquale Scialò che traccia un paesaggio sonoro del rito: il brusio della folla, i campanelli, la disciplina di metallo, la spugna che affonda nel petto, i rosari, le litanie, i cori. I Riti, non si configurano solo come immagini ma creano un impatto multisensoriale.
Nel libro compare anche lo sguardo etnografico di una studiosa guardiese, Martina Benevento impegnata a descrivere una sua biografia all’interno della festa evidenziando i valori indigeni della tradizione popolare.
Ampiamente indagato da Ugo Vuoso e Marialidia Sarno anche il rapporto tra i Riti, la comunicazione e il web. In particolare viene presentato il sito www.ritisettennali.org ideato da Giovanni e Osvaldo Lombardi che, nato nel 2006, si configura come una piccola guida digitale arricchita da una preziosa componente fotografica, divenuta libro ed ebook. L’équipe salernitana è colpita dalla sezione dedicata al riconoscimento Unesco dei riti settennali attraverso una raccolta di firme lanciata in internet.
A spiegare il titolo dell’intero testo, invece, è Luciano Striani affermando che «Il tempo dell’Assunta è quello della lentezza» simile a quello della lettura di un libro in quanto lento e ieratico appare l’avanzare dei figuranti, dei flagellanti, dei battenti.
«L’opera – dichiara il professore Vincenzo Esposito nel volume- rappresenta un tentativo di mostrare fino in fondo la complessità e profondità della manifestazione settennale che per la sua densità sfugge ad ogni tentativo di interpretazione che non tenga conto in maniera dialogico- riflessiva delle voci di coloro che ogni sette anni le danno vita».