L’uomo di Pasta, evento itinerante di Docu-Teatro, è un viaggio antropologico arricchito da musiche dal vivo, da dee, da maschere, da luci, da colori e da maccheroni.
Realizzato da: Coop sociale Ideas
Drammaturgia: Mario De Tommasi
Scenografia: Maria Scarinzi
Musica: Luigi Giova e Marco Leso
Regia: Mario De Tommasi
In collaborazione con: Karima A. Campanelli
Direzione Artistico Laboratoriale: Karima A. Campanelli
Produzione esecutiva: Coop. sociale Ideas
Con la partecipazione di:
Pia Coelli – Narratrice,
Antonella Manzo – Grande Madre,
Giovanna Maria Berruti – Musa della pasta,
Mario De Tommasi – Buccus Samnticus,
Raffaele Zenca – Maccus Osco Italicum,
James Crafa – Benino,
Laura Cardone – ‘Onna Pereta for’o balcone,
Tiziana Maio – Donna di bronzo
Corpo di ballo:
Chiara Giorgione, Roberta Giorgione, Sabrina Guarente, Angela Santucci, Benedetta Zuzolo, Giorgia Aprea, Martina Varricchio, Ilaria Garimberti, Anna Andreocci, Benedetta D’Agostino, Alice Nardone.
Brani suonati dal vivo:
Luigi Giova, Marco Leso, Andrea Orlando.
Coreografie:
Loredana Bellomo
Asd Olympia Dance Sport Studio
Note di regia:
Un lavoro teatrale sulla storia e la cultura della pasta, dal chicco al maccherone, non è mai stato realizzato.
Il quesito da cui muove l’intero percorso parte dalla possibilità di rappresentare la cultura e lo spiritualismo agroalimentare considerando tutte le implicazioni legate ai pluralismi culturali. Da qui la scelta di allestire uno spettacolo teatrale itinerante articolato in una serie di esperienze che si intrecciano tra loro finendo per sfociare l’una nell’altra. Il tutto per sottolineare l’identificazione totale che l’uomo attua con il cibo che mangia, un’identificazione tanto radicata da spingerci a parlare di umanizzazione della pasta. La scelta di utilizzare l’elemento pasta piuttosto che l’alimento, deriva proprio dall’universalità di questa e, quindi, dal suo potere di creare degli immaginari collettivi condivisibili a livello globale attraverso cui fornire un’interpretazione ed una rielaborazione. Lo studio delle abitudini alimentari, inoltre, consente di effettuare una lettura antropologica dei diversi periodi storici, dei rituali e dei miti arcaici che si fissarono per sempre in una visione tangibile in cui l’indeterminatezza categoriale della pasta, autentica forma senza forma, raggiungere le articolazioni significanti del pane lievitato e di forme ancestrali cotte che sottolineano l’incrocio fra sesso e cibo, tratti marcatamente caratteristici delle fabule atellane.
Il cibo, da sempre, viene interpretato quale specchio delle condizioni di vita della società e, in quanto tale, non deve essere considerato come oggetto in sé ma come parte fondante di un discorso comune al popolo che lo “crea”. Esso, come sosteneva Lévi-Strauss, è un formidabile mezzo interpretativo e di comunicazione.
La sequenza scelta per articolare il discorso (la semina, la spiga, il pane, la pasta, le maschere osco-sannite, il passato della tradizione rurale della terra beneventana e le innovazioni tecniche e culturali) non è casuale. Questo ordine mette in scena i meccanismi di autoidentificazione socio-territoriale con l’alimento pasta: dall’identificazione con la cultura napoletana a quella prima duo siciliana, poi italiana e infine universale. Alla narrazione dei fatti storici si affiancano i numerosi racconti che, ancora oggi, è possibile ascoltare dagli anziani.