Ancora una missione umanitaria per il medico sannita Enrico Iannace, originario di San Leucio del Sannio.
Iannace, questa volta, ha fatto parte del team composto da medici e infermieri del Centro Cardiologico Pediatrico del Mediterraneo di Taormina e del Bambino Gesù di Roma che ha operato per una settimana in Libia salvando la vita a dieci bambini.
Quando i sanitari italiani sono arrivati in Libia, e precisamente presso il Benghazi Medical Center, il più grande ospedale della Cirenaica e l’unico in grado di eseguire ad oggi interventi cardiaci, lo scenario che si sono trovati dinanzi era da Apocalisse. Due giorni di blocco a Tunisi in attesa dei visti per entrare in Libia e raggiungere finalmente la città di Bengasi, o meglio ciò che rimane di essa dopo i tre anni di occupazione da parte delle milizie islamiche. Una città distrutta dalla guerra ed ancora sotto controllo militare.
‘Tante le storie di vita che si sono intrecciate in questi sette giorni – spiega Iannace: oltre cinquanta pazienti sono stati visitati, dieci interventi chirurgici eseguiti con successo e dieci bambini restituiti alla vita.
Ciò che mi ha stupito è che dopo gli interventi i bambini hanno mostrato una capacità di ripresa che in Italia non ho mai visto. Uno in particolare: un maschietto di 40 giorni e 4 chili, nato in un ospedale lontano da Bengasi, arrivato per caso al centro cardiologico e affetto da una cardiopatia congenita gravissima.
In genere questi pazienti devono essere operati entro le 2 settimane di vita altrimenti muoiono. E’ stato l’ultimo intervento ed è durato tutto il giorno. Quando siamo partiti lo stavano per svegliare definitivamente. Ora è a casa. Sarebbe sicuramente morto se non fossimo intervenuti. Diciamo che si è trovato al posto giusto nel momento giusto e con le persone giuste. Abbiamo lavorato in un team multidisciplinare e multinazionale, si parlava solo in inglese e nell’unico linguaggio universale che è quello della medicina.
Nonostante le difficoltà incontrate per raggiungere l’ospedale e poter intervenire sui piccoli pazienti – continua Iannace – la soddisfazione è stata grande perché abbiamo potuto aiutare chi necessitava di cure immediate e portare un po’ di speranza in una terra martoriata dalla guerra, ma con una popolazione che, con dignità e coraggio, ha trovato la forza di andare avanti. Un popolo forte che non si è arreso nemmeno di fronte alla distruzione e che ha dimostrato che dalle macerie ci si rialza sempre perchè la vita, per quanto dura, vale sempre la pena di essere vissuta.
L’associazione che ci ha invitati è quella di William Norwick Cardiac Alliance basata in USA. Lavora per conto dell’OMS nei paesi con risorse limitate. In Libia opera a Tripoli Bengasi e a Tobruck. Dovevamo stare in Libia per un mese ma la permanenza era troppo pericolosa per cui siamo rimasti solo una settimana.
Sono orgoglioso di aver preso parte a questa missione e di aver potuto dare il mio contributo per la Cardiochirurgia pediatrica in questo progetto internazionale a favore dei bambini libici.
Non è stato facile andare in Libia ma aiutare quei bambini – ha concluso Iannace – mi ha ripagato di tanti momenti difficili, burocratici e logistici, che abbiamo dovuto affrontare’.
Precedenti missioni
‘Enrico Iannace ha iniziato a fare le mie prime missioni nel 2002 in Marocco, due a El Layunne e poi Fez.
Alla prima missione era partito da osservatore ma ha fatto carriera rapidissima: subito titolare di un tavolo operatorio ed alla terza era già responsabile della terapia intensiva e medico di tutto il personale della missione. Erano missioni di chirurgia per malformazioni congenite del volto, prevalentemente labbro leporino e palatoschisi e l’associazione era Operation Smile. Dopo due nuove esperienze in Giordania ed in Etiopia, ha partecipato alla creazione di una nuova associazione completamente italiana nella quale era responsabile dell’area di anestesia con il compito di reclutamento e formazione di personale volontario.
L’associazione era Smile Train Italia onlus successivamente promossa ad ONG con il nome di Emergenza Sorrisi.
Con Smile Train ha partecipato ed organizzato missioni in tutto il mondo, in paesi con risorse limitate e paesi in guerra. Afganistan, Iraq, Mozambico, Tanzania, Bangladesh, Indonesia, Congo, Georgia, Gabon, Armenia, Pakistan.
A queste si sono aggiunte 3 missioni abbastanza lunghe per conto dell’Ospedale Pediatrico Bambino Gesù in Cambogia dove l’ospedale ha una struttura che gestisce da diversi anni a Takeo.
Missioni di cardiochirurgia pediatrica sono state organizzate per conto del CCPM del Bambino Gesù di Taormina. Ha partecipato a tre missioni in Tanzania (Mwanza e Dar es Salam) e poi quest’ultima in Libia.
‘Iraq ed Afganistan – spiega Iannace – sono quelle più cariche a livello emozionale. Al di là della religione e dell’immaginario corrente ho trovato solo gran brava gente. Ottimi professionisti, sensibili alla sofferenza, orgogliosi ma riconoscenti.
In Iraq, a Nassirya, lavoravamo in una sala operatoria costruita sul rimorchio di un TIR. In una missione di 12 giorni abbiamo operato 181 pazienti. Avevamo attrezzato in quello spazio angusto 4 letti operatori e coinvolto tutto il personale della base e delle associazioni locali. Operavamo di tutto: adulti, bambini, feriti da arma da fuoco, ustionati a causa dello scoppio di bombe. Visitavamo tutto quello che ci si presentava. Una bambina cardiopatica l’ho fatta perfino arrivare ed operare in Italia.
Eravamo protetti e ci sentivamo protetti. La nostra sicurezza era affidata agli americani, ma il migliore filtro erano la gente e i soldati iracheni, lavoravamo per loro e le loro famiglie. Dopo le prime 10 missioni nella nostra ex base militare a Nassirya, l’associazione ha operato e continua ad operare in assoluta sicurezza nell’ospedale principale della città curando i bambini che vengono da tutto il paese.
In Afganistan – conclude Iannace – abbiamo lavorato all’ospedale universitario ed al centro gestito da CURE vicino a quello che restava del palazzo reale. Anche qui come in Libia macerie ovunque, ma il livello di distruzione era ben più grande. In questo caso la lotta dapprima ai russi e poi ai Talebani aveva lasciato poco in piedi. I bambini camminavano scalzi nella neve, poi ho scoperto che fin da piccoli facevano uso di droghe per combattere fame e freddo’.