Gli allievi del Liceo Scientifico “Rummo” di Benevento, coordinati dal docente di Filosofia Gaetano Panella, hanno commemorato le vittime dell’esodo degli istriani, dei dalmati e dei giuliani in occasione del Giorno del Ricordo nell’ambito di un progetto patrocinato dalla Provincia.
L’iniziativa, autorizzata dalla dirigente scolastica del “Rummo”, Teresa Marchese, si è avvalso della cooperazione della giornalista Enza Nunziato del Circolo Manfredi che ha coniato lo slogan “Foibe: un grido contro il silenzio”.
I ragazzi (nella foto) hanno infatti svolto un percorso di approfondimento storico sulla tragica vicenda delle vittime italiane nelle regioni del Nord est a pochi mesi dalla fine della Seconda Guerra Mondiale, leggendo tra l’altro, i testi di Anna Maria Mori “Nata in Istria” e Jan Bernas “Ci chiamavano fascisti, eravamo italiani”.
Gli studenti del “Rummo” hanno, peraltro, potuto avvalersi della disponibilità del docente di Estetica Stefano Zecchi, che ha tenuto con loro un dialogo in occasione proprio del “Giorno del Ricordo”.
Il dialogo è culminato in una lettera del docente. Ecco il testo: “Cari ragazzi, purtroppo non riesco ad essere presente alla Vostra importante iniziativa, ma il mio pensiero è con voi. Celebrate un avvenimento drammatico della storia europea che ha coinvolto tanti nostri connazionali colpevoli soltanto di essere italiani e di aver voluto rimanere italiani. Ricordare è un dovere di tutti, in particolare quando l’oblio sembra essere la soluzione migliore per non affrontare i problemi. Desidero anche ringraziarvi per aver letto i miei libri e sono lieto che, oltre ad esservi piaciuti, vi siano serviti per studiare e riflettere. A presto. Stefano Zecchi”.
Il docente, autore, tra gli altri, dei romanzi: “Rose bianche a Fiume” (Mondadori, 2014) e “Quando ci batteva forte il cuore (Mondadori, 2011), ha ripercorso quello che lui ritiene essere “un dovere morale e civile, un moto dell’animo per dare avvio, finalmente, in questo Paese ad un’ampia riflessione pubblica su quanto accadde a non meno di 350mila italiani”.
I nostri connazionali nelle regioni del Nord est – ha ricordato Zecchi – furono cacciati dai comunisti del Maresciallo jugoslavo Josip Tito dalle loro terre e dalle loro proprietà in Istria e Dalmazia: quella vicenda, segnò in maniera tragica il destino per forse 40mila tra loro perché gettati (spesso ancora vivi) nelle “doline carsiche”, cioé in quelle profonde depressioni del terreno, note anche come foibe. In tutti i sopravvissuti ed esiliati il penoso ed umiliante ricordo.
Dal punto di vista formale e sostanziale, ha detto Zecchi, la vicenda dei profughi istriani e delle Foibe comincia il 10 febbraio 1947 con la firma da parte delle Autorità italiane dei Trattati di Parigi che chiusero la Seconda Guerra Mondiale che prevedevano, tra le altre cose, la cessione alla Jugoslavia di Fiume, Zara, le isola di Lagosta e Pelagosa, parte dell’Istria e Carso triestino e goriziano e l’alta valle dell’Isonzo.
Zecchi, nato nella città lagunare nel 1945, ha ricordato di aver assistito da bambino all’arrivo dei profughi: «Avevo 6-7 anni quando in riva degli Schiavoni, a Venezia, arrivano le motonavi che scaricavano tanta povera gente dall’est. Ricordo il modo in cui venivano accolti gli esuli, a sputi e fischi, perché erano considerati fascisti. E ricordo i bambini a scuola con il cartello “profugo” stretto al collo. Noi poi ospitammo in casa anche una signora e il suo bambino. Per questo per me è impossibile dimenticare».
Zecchi ha voluto precisato che non tutti gli istriani erano fascisti: erano presenti tutte le fedi politiche o, addirittura, non c’era alcuna idea politica. “Sta di fatto invece – ha precisato Zecchi – che furono indubbiamente i comunisti di Tito non solo a sloggiare dalla sera alla mattina tutti gli italiani dalle loro case e dalle loro terre, espellendoli nella vicina Italia, e a gettarne vivi nelle Foibe un numero imprecisato, ma sicuramente elevatissimo. Una ripetizione, in piccolo, dell’Olocausto”.
Ora, il nostro Paese, dopo anni di quasi assoluto silenzio su questa pagina della propria storia, ha voluto dedicare, con una legge del 2004, il 10 febbraio alla “Giorno del Ricordo”. Ma imporlo per legge, ha detto il docente, non basta: la memoria è una nostra facoltà piuttosto sfuggente. Per questo Zecchi richiama tutti all’imperativo etico del ricordo.
Il Presidente della Provincia Claudio Ricci, nell’associarsi alle parole del docente veneto, ha auspicato un sempre maggiore approfondimento soprattutto da parte delle giovani generazioni su quella vicenda storica ed ha dato al Liceo “Rummo”, ai ragazzi e ai docenti, nonché alla giornalista Enza Nunziato dell’impegno civile messo in atto in questo progetto.