Il Commissario straordinario della Provincia di Benevento Aniello Cimitile ha pronunciato oggi il seguente discorso davanti al Monumento ai Caduti:
‘Uomini e donne delle Forze Armate, Uomini e donne delle Forze dell’Ordine, Uomini delle Associazioni combattentistiche e d’arme, Uomini e donne della Protezione civile e del volontariato, Autorità civili, ecclesiastiche e militari, Signor Ministro, Signori Parlamentari e consiglieri regionali, Signor Prefetto,
È con pienezza di sentimento e ragione che, come ogni anno, siamo di nuovo qui tutti insieme per la Festa dell’Unità d’Italia e delle nostre Forze Armate, in questa Giornata che dedichiamo a loro congiuntamente perché il 4 Novembre del 1918 furono proprio le nostre Forze Armate, a conquistare ed annunciare, con lo storico “Comunicato della Vittoria” del generale Diaz, il definitivo compimento dell’Unità d’Italia e la fine della 1a Guerra Mondiale.
Ad ogni anno che passa, quell’evento appare sempre più lontano, e ormai ci avviamo a percorrere l’ultimo quinquennio che manca al suo Centenario. Credo non ci sia Comune d’Italia senza un proprio Monumento ai Caduti e credo che dovunque è a quel Monumento che oggi va l’omaggio ed il pensiero commosso delle nostre comunità.
E tuttavia non sfugge che ormai a quelle liste di nomi che ricordano vite spezzate fra il 1915 ed il 1918, nessuno più associa volti, vicende umane, i sentimenti, il sacrificio non idealizzato ma fatto di dolore e sofferenza concreta, come quella straziante dei padri e delle madri, delle mogli e dei figli, delle famiglie e delle comunità alle quali mancarono.
Fu una intera generazione di giovani ad essere duramente e profondamente colpita; li chiamarono i “ragazzi del ’99”,giovani ai quali grandi conquiste scientifiche, tecnologiche e tecniche, lo sviluppo dell’industria e delle capacità produttive dell’umanità sembravano annunciare
grandi opportunità, progresso e futuro radioso e che invece videro le loro speranze svanire nel vortice della Grande Guerra.
Di quei “ragazzi del 99″ non c’è più nessuno e davanti al Monumento ai Caduti forse nessuno avverte, e forse nessuno può più avvertire, quella intensità di emozioni, di orgoglio e di dolore che i superstiti di quella generazione sentivano.
Orgoglio e dolore, insieme, in quel contrastato dualismo che quella Guerra produsse nel nostro popolo, e che forse molte guerre producono: da un lato valori e sentimenti forti, che spingono al sacrificio supremo; dall’altro lo strazio ed il dolore dell’offesa, altrettanto suprema, all’Umanità, all’uomo ed alla sua dignità.
Nelle trincee del Carso e sui monti del Trentino si conquistò definitivamente l’Italia, ma si consumò anche una immane tragedia. Qualcuno disse che se la conquista di Trieste e Trento completava l’unità risorgimentale, ad unire per davvero gli italiani di tutti i ceti e di tutte le regioni fu il “milite ignoto” nel quale tutti indistintamente si identificarono, finalmente tutti italiani. A noi che siamo qui, non può sfuggire che ai nostri giovani quella guerra, come quella successiva e quelle che attualmente divampano in tante parti del mondo, appare lontana.
Se “i ragazzi del ’99″ furono travolti dalla Grande Guerra, i nostri giovani, quelli degli anni ’80 e della prima metà degli anni ’90 sono immersi nella loro battaglia quotidiana per la ricerca di un lavoro; ormai, anche le cifre della crisi socio-economica somigliano a quelle dei Bollettini di Guerra che nel 1915-1918 annunciavano le perdite di tante vite umane. Il 40% di questi nostri giovani è senza occupazione e anche quest’anno sono più di 70.000 quelli che hanno lasciato l’Italia.
Come la guerra, anche la mancanza di lavoro può rubare il presente ed il futuro, offendere la dignità e cancellare i diritti della persona; e se della barbarie della guerra manca l’offesa fisica, alla disoccupazione manca ogni barlume, fosse anche un semplice alibi, di ragione etica e valoriale. A questi nostri giovani dobbiamo far sentire con forza e concreta determinazione che il lavoro, quello vero e qualificato, non quello precario ed assistenziale, è al primo posto nell’azione dei nostri governi e di tutti noi.
Dobbiamo far concretamente sentire che noi combattiamo quotidianamente questa battaglia insieme a loro. Solo se riusciremo a fare questo, avremo anche la possibilità di trasmettere con efficacia i messaggi che vengono da una giornata come questa. La possibilità di dire che considerare estranee e lontane le guerre del passato come quelle attuali è un errore.
E’ una lontananza che non è un bene se serve a dimenticare: da un lato, non si può e non si deve il duro prezzo di sacrifico e dolore pagato sulla strada della conquista del benessere e del progresso sociale e civile dell’Italia; e dall’altro, non si possono dimenticare la devastante barbarie delle guerre, le tragedie umane e sociali che esse producono. Giuseppe Ungaretti, uno dei più grandi poeti del `900, in versi immortali diceva che di quella Prima Guerra Mondiale nei nostri cuori “nessuna croce manca”.
E le croci furono davvero tante, croci materiali e morali. Furono circa settecentomila i caduti italiani; un milione e cinquecentomila feriti, quattrocentocinquantamila i grandi invalidi. Il debito pubblicò, quello stesso nemico col quale oggi combattiamo, fu allora quadruplicato, l’inflazione aumentò di 12 volte, e anche allora il lavoro fu duramente colpito con la disoccupazione che superò il 20%. Ai nostri giovani non dobbiamo mai stancarci di dire che se i nostri padri riuscirono ad uscire da questa immane tragedia, allora possiamo e dobbiamo farcela anche noi ad uscire dalla profonda crisi economica, politica e valoriale nella quale siamo immersi.
Certamente il 4 Novembre, oltre al valore della coesione nazionale, ci propone alto e forte quello della coesione sociale che dobbiamo saper mantenere e difendere nella crisi attuale. Ma vi sono altri primari valori.
Come quello che di fronte al baratro ed alle tragedie di due Guerre Mondiali, hanno portato a scrivere nella nostra Costituzione che l’Italia ripudia la guerra come strumento di risoluzione dei conflitti fra i popoli, e che la pace, la ricerca e la difesa della pace sono un nostro valore irrinunciabile e supremo.
E’ in questo quadro che il testimone che il Generale Diaz ci consegnò in quel lontano 4 novembre oggi viene portato avanti dalle nostre Forze Armate in una missione alta e forte che è quella di essere non solo garanti della nostra difesa e della nostra sicurezza, ma anche costruttori e portatori di pace. Una missione che nel mondo moderno, e sotto l
a spinta della globalizzazione, chiede sempre più alta qualificazione, rende sempre più prevalenti le attività di intelligenza e conoscenza, invoca sempre più alta preparazione nella comprensione multiculturale e multietnica dei popoli, nel loro rispetto e nelle relazioni con essi. Oggi le nostre Forze Armate non solo si stanno dimostrando all’altezza di queste sfide e di queste missioni, ma ne sono interpreti e portatori, con grandi sacrifici, in tanti contesti internazionali dove diventano anche ambasciatori dei principi che li ispirano. A questi costruttori di pace nel mondo va il nostro saluto più cordiale nella certezza che esse sanno essere, anche oltre i confini del nostro Paese, le migliori interpreti della nostra Costituzione e del sentimento nazionale. Va, infine, a tutte le nostre Forze Armate, impegnate nelle molteplici missioni di pace all’estero e nella garanzia della sicurezza interna ed internazionale del nostro Paese, un sentito ringraziamento e un grato riconoscimento per lo straordinario e costante impegno profuso nel mantenimento di una elevata efficienza e di un eccezionale grado di preparazione e professionalità. E’ rendendo omaggio a loro ed ai Caduti di tutte le guerre che viviamo questo 4 novembre.
Viva l’Italia.
Viva la Pace’.