La sinistra dovrebbe prendere in mano con più decisione e chiarezza la bandiera del Sud d’Italia perché l’esistenza di una questione meridionale irrisolta non è il convincimento di parte né il “pallino” di qualcuno, ma un dato oggettivo. Essa compromette anche la stabilità e il futuro dello stesso Nord. Riguarda, perciò, tutti gli italiani e l’Europa. La crisi che stiamo vivendo, come si può vedere, è segnata dallo squilibrato sviluppo avuto fin qui con l’accentuata debolezza del Sud.
Più di venti anni fa l’Episcopato italiano denunciava: “Il problema del Mezzogiorno si configura come “questione morale” in riferimento alla disuguaglianza nello sviluppo tra nord e sud del Paese e alle implicazioni di un tipo di sviluppo incompiuto, distorto, dipendente e frammentato”. Oggi persiste negli stessi termini, anzi il divario rispetto al resto dell’Italia è drammaticamente cresciuto e riguarda principalmente la capacità produttiva e l’occupazione.
Si sono voluti importare al Sud modelli economici, culturali e sociali che, imposti senza alcuna considerazione del contesto locale, hanno prodotto prevalentemente la disgregazione del precedente tessuto. Una scelta sciagurata che non ha permesso di dispiegare le innumerevoli potenzialità che la grande storia, l’identità culturale e le vocazioni del Mezzogiorno offrono a favore di tutto il Paese.
Le conseguenze negative del modello di sviluppo sono state aggravate dall’agire della classe dirigente meridionale, anche di sinistra, che ne è stata complice. Una classe dirigente che non può accampare giustificazione alcuna, se non quella di essere stata selezionata senza che si potesse contare sulle innumerevoli energie costrette a lasciare il sud ed esercitare il proprio sapere in altre parti d’Italia e del mondo.
Non si può concretamente pensare a un’Italia con uno sviluppo equilibrato, stabile, duraturo, pienamente artefice della nuova Europa, se questo sforzo non è sostenuto da un unitario sistema Italia, cosa che, ad esempio, i leghisti per egoismo e miopia non vogliono vedere; la stessa nuova Europa non sarebbe tale senza il Mezzogiorno, perché priva della più vera e profonda cultura mediterranea. Il Mezzogiorno, a sua volta, può e deve essere artefice del proprio sviluppo, ma perché questo sia rapido e globale, cioè politico, economico, culturale, etico, ha bisogno dell’apporto di tutte le componenti della società italiana.
Rispettando l’impareggiabile bellezza della natura, che è la prima grande ricchezza del Mezzogiorno, si deve favorire sul suo territorio la realizzazione di un tessuto capillare di sviluppo, soprattutto attraverso la nascita e la crescita di piccole e medie imprese in agricoltura, nel turismo e nell’artigianato, risorse locali che non temono alcuna concorrenza nel mondo, ma non sono convenientemente utilizzate. Bisogna valorizzare meglio l’immenso patrimonio artistico, sviluppare processi d’innovazione, moltiplicare e rafforzare centri di ricerca che servono alle aziende e frenano la fuga dei cervelli. Il Sud, in virtù delle favorevoli condizioni geografiche e climatiche, può dare l’impulso decisivo allo sviluppo di energie rinnovabili, come l’eolico e il solare, vitale per ridurre la dipendenza dell’Italia nel campo energetico e avere un’economia competitiva e sostenibile.
E’ un percorso che è possibile fare in tempi ragionevoli, ma deve poter contare sulla consapevolezza dei politici meridionali, sul recupero del senso dello Stato, sul contrasto deciso alla criminalità organizzata, su una società civile rispettosa dei diritti e dei doveri, su una tecnocrazia efficiente e sana al servizio del cittadino.
La Campania, con le sue luci e ombre a forte contrasto, offre uno spunto esemplificativo dell’intero sud. Il livello della sua offerta turistica è altissimo; la sua agricoltura è fonte di un Made in Italy che determina gran parte delle fortune dell’intera agricoltura italiana: quasi tutte le produzioni agricole ad alto valore aggiunto, che ci hanno consentito di conquistare il primo posto in Europa, sono concentrate in Campania e nel resto del Sud. Sono risultati, questi, che hanno un significato grande perché ottenuti da un’agricoltura costretta ad agire gravata, rispetto a quella del Centro e del Nord, da molti svantaggi: le infrastrutture civili e produttive, l’organizzazione del territorio, la legalità, l’efficienza della spesa e dei servizi pubblici.
Ho voluto porre l’accento su questi aspetti perché rendono del tutto evidente come il Mezzogiorno sia un decisivo fattore di convenienza, non un peso come alcuni cercano di farlo apparire. Un suo rapido rilancio non è solo una giusta rivendicazione o un risarcimento dovuto, ma rappresenta la risorsa principale da utilizzare per combattere la crisi e realizzare uno sviluppo economico equilibrato e stabile, condizione decisiva perché l’Italia possa avere un progresso democratico ed essere protagonista di un’Europa, più unita e forte, promotrice di un nuovo ordine internazionale di solidarietà e di diritto.
30 gennaio 2012 Antonio Simiele SEL Benevento
Caro Tonino dici bene. Sembra quasi che “la questione meridionale” si sia tanto ingigantita e i problemi così affondati nella terra del sud Italia che affrontarli pare quasi una battaglia donchisciottesca. Invece non è così: servono piani, idee e competenze. E occorre che il problema del rilancio del Sud non sia discusso e pensato da persone che sono l’espressione delle solite lobby di potere altrimenti troveremo gli ennesimi capannoni vuoti, le ennesime infrastrutture inaugurate e mai finite e i soliti ritorni economici per la malavita. Sai quanto tenga a cuore questa materia. La desertificazione economica c’è stata da un pezzo, quella culturale e sociale la stiamo vivendo ora. E’ chiaro che lo sviluppo del sud e delle aree interne soprattutto deve passare per un investimento culturale, per la salvaguardia dell’ambiente, per l’innovazione tecnologica dei processi e delle PMI, per le energie rinnovabili, per la ricerca e per le risorse storico-ambientali che abbiamo. Condivido il tuo intervento e spero sempre che potremo festeggiare i 150 anni della questione meridionale con un minimo di speranza di unire davvero l’Italia.