Una tappa importante quella raggiunta da “CIVES – Laboratorio di Formazione al Bene Comune”: arrivati al settimo incontro di questa edizione, i partecipanti hanno incontrato, lo scorso giovedì, il Prof. Pietro Ichino (Ordinario di Diritto del lavoro presso l’Università statale di Milano, nonché Senatore della Repubblica).
Un incontro diretto, senza tecnicismi, entrato subito nel vivo fin dalle parole di apertura di Ettore Rossi (direttore dell’Ufficio per i Problemi Sociali e il Lavoro della Diocesi di Benevento): “Il nostro futuro dipende dalle possibilità che riusciremo ad offrire ai giovani di trovare lavoro, rinsaldando il legame con il loro territorio, e possiamo riuscirci solo tramite una riforma del diritto e del mercato del lavoro. Oggi più che mai ci viene chiesto di riprogettare le regole fondamentali delle nostre società. Sul tema specifico, la questione non sta tanto nel posto fisso ma nel riaprire le porte del buon lavoro ai giovani, garantendo le giuste tutele”.
La lezione del prof. Ichino parte da una premessa (che risuonerà durante tutto l’incontro) secondo la quale oggi dobbiamo prestare attenzione a non mitizzare la differenza tra il Nord e il Sud del nostro Paese, che sicuramente esiste, ma viene spesso alimentata da leggende che vanno sfatate: “Le contraddizioni riguardo la nostra cultura del lavoro – ha esordito Ichino annunciando i punti della lezione – le ritroviamo ovunque. Abbiamo paura del mercato del lavoro perché non ne conosciamo i meccanismi; siamo abituati a vedere solo la portata positiva degli interventi, mentre è sempre importante misurarne anche gli effetti negativi e i costi; ignoriamo giacimenti di domanda di lavoro aggiuntiva che restano lì e, infine, parliamo della materia ignorandone spesso non solo gli effetti, ma anche il contenuto”.
La riflessione non può che volgersi al nostro tempo di crisi, la quale si manifesta (tra gli altri modi) con una costante e preoccupante disoccupazione giovanile, rispetto alla quale però il prof. Ichino puntualizza: “Anche in periodi difficili come questi, esistono posti di lavoro che restano permanentemente scoperti per mancanza di manodopera adatta, creando un doppio danno, sia perché non creano occupabilità, sia per le aziende che si ritrovano con delle strozzature. Il mercato del lavoro, anche durante una crisi economico-finanziaria, ha sempre enormi possibilità di assorbire”.
Un primo dato di speranza quindi, che costringe a domandarsi dove allora sia la radice del problema per poter intervenire tempestivamente, e il docente dà qualche possibile spunto di riflessione: “Innanzitutto dobbiamo prendere atto che il lavoro oggi è polverizzato, richiede delle qualifiche specifiche e non basta più una formazione di tipo generico. Un altro problema è che i nuovi contratti sono per più dei quattro quinti a termine, e il rischio che si corre è quello di passare da una posizione tutelata ad una che non lo è”.
È proprio sulle criticità del nostro mercato del lavoro che prosegue l’intervento di Pietro Ichino, su questioni talvolta spinose, come la cassa integrazione prolungata, che senza strutture adeguate che possono ricollocare quanti hanno perso il lavoro, si riducono ad essere erogazioni assistenzialistiche che eludono i problemi, a costo anche elevato.
Ai fini di un confronto che possa permettere eventuali soluzioni alla nostra non facile situazione, Ichino propone un confronto con la “condizionalità” dei Paesi Scandinavi, legata alla disponibilità del lavoratore per tutto quanto è necessario per la ricollocazione. “Lì viene attuato un bilancio delle competenze del lavoratore e vengono individuate le vacancies (posti vacanti) più vicine alle sue attitudini e, in funzione di ciò, si individuano percorsi formativi necessari per ricollocare i disoccupati. Per approfittare dei giacimenti di lavoro, la formazione vocazionale è divenuta ormai inefficace, occorre quella mirata”.
Sono ancora i Paesi Scandinavi a offrire un esempio di bacini in grado di assorbire una grande quantità di offerta lavorativa: basti pensare alla potenziale domanda di servizi alla persona e alle città, come l’assistenza alle donne in maternità, piuttosto che agli anziani, o ai disabili non autosufficienti; la tutela del patrimonio artistico e ambientale.
Allora cosa impedisce l’incontro tra domanda e offerta di lavoro? Una risposta possibile ce la offre la conclusione dell’ appassionato intervento di Ichino: “Noi, nella dialettica domanda-offerta di lavoro, creiamo dei diaframmi pesantissimi, fatti di regole, burocrazia. Creiamo degli standard, accettiamo senza indignarci l’economia sommersa, spesso anche quella costruita sull’illegalità, ma non tolleriamo che si attivino dei canali per creare nuove forme di lavoro, ridefinendo i vecchi standard”.
L’incontro si è concluso con un dibattito vivace anche sulla questione dell’art. 18 dello Statuto dei Lavoratori. L’illustre giuslavorista ha spiegato la sua posizione sul tema: art. 18 per tutti contro il licenziamento discriminatorio e di rappresaglia, mentre nel caso di licenziamenti per motivi economici od organizzativi il controllo giudiziale sul motivo stesso verrebbe sostituito dalla responsabilizzazione dell’impresa (cioè, essa si accolla il “costo sociale” del licenziamento per motivo oggettivo) nel passaggio del lavoratore ad una nuova occupazione. Il confronto ha, quindi, offerto molti spunti di riflessione, sia ai partecipanti attivi del laboratorio CIVES che ai numerosi cittadini intervenuti.