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Cives, Mario Iadanza ha parlato della questione tra Stato e Chiesa

Scritto da il 4 aprile 2011 alle 19:06 e archiviato sotto la voce Territorio. Qualsiasi risposta puo´ essere seguita tramite RSS 2.0. Puoi rispondere o tracciare questa voce

Si è tenuto giovedì 31 marzo il dodicesimo appuntamento della IV edizione di CIVES – Laboratorio di Formazione al Bene Comune.

Nella sala del Centro di Cultura a piazza Orsini, Mario Iadanza – Direttore dell’Ufficio per la Cultura e Beni Culturali della diocesi di Benevento – ha affrontato alcune questioni relative al complesso rapporto tra sfera politica e sfera religiosa.

Nella prima parte dell’incontro Iadanza ha tracciato un quadro storico-culturale dei diversi modelli inerenti alla relazione tra politica e religione. “Le lotte religiose avvenute tra il Cinque e Seicento – ha esordito – cioè dopo che la Rivoluzione protestante aveva decretato la fine dell’unità religiosa cattolico – romana dell’Europa, hanno determinato da una parte il principio della uniformità tra confessione religiosa e lealtà politica (quello che chiamiamo confessionalismo) e dall’altra l’affermarsi del principio di tolleranza (porre una distinzione tra l’ambito religioso e l’ambito politico per cui, pur aderendo a confessioni religiose diverse, si può esprimere una lealtà politica che va al di là dell’adesione religiosa) che poi trionferà in tutti gli stati europei. Il modello del confessionalismo ha caratterizzato le monarchie assolute occidentali del Sei/Settecento nelle quali il credente coincide perfettamente con il suddito. Ormai superato nell’Europa occidentale il modello del confessionalismo – ha continuato don Mario – è ancora presente in tantissime parti del mondo”.
Proseguendo nell’analisi ha poi posto l’accento sull’avvento del Liberalesimo (secondo cui la religione è un fatto intimo, personale che non deve avere nessuna valenza di tipo politico e pubblico) quale generatore di due ulteriori modelli di relazione tra sfera politica e sfera religiosa, definiti separazione pura e separazione ostile. La separazione pura risponde ai principi e alle tendenze del liberalesimo anglosassone, sostanzialmente alieno dalle forme di anticlericalismo, tipiche dei paesi latini. Esso non è sinonimo di indifferentismo ma solo di rispetto delle rispettive competenze. Diverso il discorso per la separazione ostile che si sviluppa con modalità diverse in tutte le nazioni latine per naturale reazione a quello che è il connubio molto stretto, tipico delle società di Ancien Regime, tra Chiesa e Stato.
“Il Liberalesimo introduce il principio dell’uguaglianza di tutti i cittadini dinanzi alla legge. In Italia – ha affermato Iadanza – negli anni ’50 dell’Ottocento comincia a prendere piede una legislazione anticlericale (abolizione del foro ecclesiastico e altri privilegi); nel 1855 le leggi piemontesi varate da Rattazzi (dopo l’unificazione saranno estese in tutt’Italia) stabiliscono lo scioglimento di tutti gli ordini e le congregazioni religiose che non avessero come fine la predicazione, l’insegnamento e la carità che portano all’eliminazione di tutti gli ordini contemplativi maschili e femminili e con il seguente incameramento dei loro beni. In conseguenza di ciò, ad esempio, l’arcivescovo di Benevento Carafa di Traetto viene letteralmente cacciato dalla città; il vescovo di Cerreto, Luigi Sodo viene imprigionato, monsignor Francesco Pedicini (originario di Foglianise), arcivescovo di Bari, subisce esili e persecuzioni. La liquidazione dell’asse ecclesiastico ha portato, insomma, allo sconvolgimento di tutta la struttura politico – amministrativa e anche pastorale della chiesa, in particolare della chiesa meridionale. La frattura dello Stato italiano con la Chiesa cattolica è stata ricomposta ufficialmente con il Patti Lateranensi del 1929 il cui Concordato è stato modificato nel 1984”.
A questo punto Iadanza ha messo in evidenza i principi che dovrebbero guidare le scelte di un credente in una società pluralistica e multiculturale come quella attuale. “Questi principi – ha affermato – possono essere ricondotti a quattro e il documento di ispirazione sicuramente rimane la Gaudium et Spes del Vaticano II: democrazia, laicità, libertà religiosa e dialogo come stile. Definire oggi la democrazia è compito difficile. Massimo Salvadori, in “Democrazie senza Democrazia”, afferma che oggi ci sono le liturgie della democrazia ma non i valori, le istanze forti di una vita associata, condivisa, forte nella quale c’è anche un insieme di principi di convergenza e una voglia di fare anche dei sacrifici perché ognuno è responsabile dell’altro; Giovanni Paolo II, nella Centesimus Annus (enciclica pubblicata a cento anni di distanza dalla Rerum Novarum di Leone XIII) scrive che una democrazia senza valori facilmente si tramuta in un totalitarismo reale anche se non appariscente; Giovanni Sartori ritiene che chi condivide idee forti come il credente non è affidabile sul terreno democratico perché la migliore cultura di attecchimento della democrazia è il relativismo valoriale”.
“La laicità – ha continuato – è l’orizzonte entro il quale dobbiamo muoverci imparando a fare unità in nome della fede e dei valori irrinunciabili ma nel rispetto reciproco. Il principio della libertà religiosa, in un contesto multiculturale e multireligioso come quello odierno, è irrinunciabile. Dialogo come stile, infine, significa riconoscere la positività dell’altro, visto come portatore di uno specifico valore”.
A margine dell’incontro Iadanza si è soffermato sulle difficoltà che avvertono oggi i cattolici nel migliorare l’esistente. “Per immaginare un nuovo cammino – ha chiosato il direttore diocesano dell’Ufficio Cultura e Beni Culturali – non resta altro che ricominciare a costruire piccole reti di solidarietà, di amicizia, di relazione”.

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