di Antonella D’Amico
Volano troppi ‘vaffa’ tra la gente, constata la Cassazione che, oltre a sanzionare l’offesa, consiglia: ‘se dovete reagire ad un torto ricevuto, anzichè mandare a ‘quel paese’ qualcuno, ditegli ‘non infastidirmi’. La Suprema Corte prende spunto dall’ennesimo caso di ingiuria, registrato in questo caso a Civitavecchia, per stilare un ‘ingiuriometro’, una specie di misuratore dell’ingiuria.
Piazza Cavour prende atto che in certe situazioni, “come in politica”, è difficile “eliminare i toni accesi e le espressioni pesanti”, specie se ci si trova in un “contesto di polemica”, ma data la quantità di parolacce che si scambiano le persone “ai fini di accertare se sia leso il bene protetto dall’art. 594 c.p. occorre fare riferimento ad un criterio di media convenzionale”. Tradotto in forma meno giuridica, per stabilire se un ‘vaffa’ o un’altra parolaccia siano o meno offensive si deve guardare “alla personalità dell’offeso e dell’offensore e al contesto nel quale la frase ingiuriosa sia stata pronunciata”.
Tutto nasce da un ricorso portato in Cassazione da Angelo C., un 50enne di Civitavecchia che, dopo una lite con Giancarlo A., lo aveva liquidato con un ‘vaffa’. Multato per ingiuria dal Tribunale di Civitavecchia nel marzo 2009, Angelo ha fatto ricorso in Cassazione facendo notare che il vocabolo, “ormai di uso comune ha perso la sua efficacia offensiva” pur rimanendo una espressione maleducata. La Quinta sezione penale – sentenza 30956 – ha bocciato la linea difensiva.
Nelle motivazioni gli ‘ermellini’ hanno fatto presente che le parolacce assumono una valenza più o meno offensiva a seconda del contesto in cui ci si trova. “Se vengono pronunciate nei confronti di un insegnante che fa una osservazione o di un vigile che dà una multa, – hanno rilevato – assumono carattere di spregio”. Più tolleranza se il turpiloquio avviene in un contesto ‘ioci causa’ o tra soggetti in posizione di parità, insomma “in situazioni che non richiedono manifestazione di specifico rispetto”.
Applicando l’ingiuriometro’ al caso in questione, la Cassazione ha ritenuto che il ‘vaffa’ pronunciato da Angelo C. costuisce una ingiuria a tutti gli effetti tale da “attaccare e offendere l’onore e il decoro”. La situazione consigliava, invece, di “porre fine alla discussione con il ricorso ad una espressione tipo “non infastidirmi”, conclude piazza Cavour.