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direttore Antonio De Cristofaro

Bue (toro) Apis, Jean Pierre el Kozeh: ‘Occorrono senso della Storia e cultura della Cultura’.

Scritto da il 6 aprile 2009 alle 15:52 e archiviato sotto la voce Territorio, Testata. Qualsiasi risposta puo´ essere seguita tramite RSS 2.0. Puoi rispondere o tracciare questa voce

Ritengo che una delle più belle opere sul periodo romano di Benevento sia “Il Sannio romano – caratteri e persistenze di una civiltà negata” in cui Antonio Sirago raccoglie i suoi studi precedentemente e separatamente pubblicati sulla prestigiosa rivista storica “Samnium”.
Al di là degli apprezzabilissimi contenuti però, la cosa che mi ha colpito maggiormente è il fatto che l’ Autore non abbia esitato a titolare il suo lavoro facendo riferimento ad una “negazione”, la qual cosa non credo nasca dalla verifica di una disattenzione da parte della storiografia ufficiale – che del resto riserva buona rilevanza agli episodi sanniti di quel periodo – per un arco di tempo che è durato vari secoli ma, evidentemente, per segnalare la totale disaffezione dei beneventani stessi rispetto ad esso.
Se è pur vero, infatti, che le testimonianze archeologiche ci obbligano a ricordare (o a subire!!!) un glorioso passato, poca coscienza si ha della reale importanza strategica, commerciale, industriale e religiosa che la nostra Città ha avuto nel suo periodo romano.
Essere stati il più importante centro di preparazione di alimenti a lunga conservazione dell’Impero (che in un periodo in cui il frigorifero era lungi dal divenire avevano un valore commerciale e strategico-militare altissimo), un rilevantissimo snodo commerciale dovuto al passaggio delle principali strade imperiali italiche tra cui non va dimenticata quella fluviale, la meta del pellegrinaggio legato ad uno dei più importanti culti del tardo impero, aver ospitato almeno cinque imperatori – Augusto, Tiberio, Nerone, Vespasiano e Domiziano – e addirittura essere stato teatro di una delle congiure (quella viniciana) ordita ai danni di quest’ultimo ci fanno presupporre che Benevento in quel periodo dovesse essere un centro urbano di grande rilevanza (addirittura definita maxima al pari di Roma da alcuni importanti e benevoli cronisti dell’ epoca) ricco di imponenti edifici pubblici e religiosi e di cui le vestigia che restano, per quanto prestigiose, ci restituiscono solo pallida reminiscenza.
Oggi più che mai, vista la volontà di voler indirizzare il futuro della nostra Città verso la valorizzazione delle sue potenzialità artistico-culturali-archeologiche sfruttate a finalità turistiche, la negazione di quel periodo storico diviene, quindi, colpevole negligenza.
Una negligenza alla quale gli Enti preposti a sopraintendere non hanno mai negli anni neppure tentato di porre rimedio, ad esempio disegnando una indispensabile mappa ipotetica della città romana, evitando di tener fermi per anni i lavori di recupero dell’anfiteatro romano o ancora, evitando la distruzione (almeno parziale ma quasi definitiva) del cripto portico dei Santi Quaranta.
Tutto ciò, francamente, mi ha sempre scandalizzato e dovrebbe scandalizzarci tutti.
Ed invece l’unica cosa che sembra riuscire a creare un po’ di fermento, passione se non addirittura indignazione è la decisione dell’assessore alla cultura del nostro Comune di spostare il Bue Apis, che se è pur vero essere uno dei simboli della Città, d’altro canto all’attuale sede è stato deputato da una scelta (di oltre 400 anni fa) operata quando quel sito aveva una sua rilevanza e quella posizione quindi un valore simbolico che oggi più non ha.
E quindi leggo che l’unico riferimento alla memoria è il ricordo di pomiciate sotto il granitico bovino o che l’unico sentimento di sdegno è quello del quartiere che si mobilita per evitare lo scippo dell’assessore non accorgendosi però che lentamente, silenziosamente, per anni ed anni è stata derubato – talvolta con la sua stessa complicità – dell’unico vero valore che è quello della propria Storia.
E’ giunto il momento, oggi, – e credo che questa sia l’unica ultima possibilità – di procedere al recupero reale e definitivo della memoria di quel periodo, non solo circoscritto all’aspetto archeologico ma innanzitutto e soprattutto culturale iniziando da un processo di sensibilizzazione che parta dalle scuole (e quindi dalle nuove generazioni) e finisca alla conoscenza e consapevolezza del “da dove veniamo” che sola può indirizzare il nostro “dove andremo”.
Scopriranno, quindi, gli abitanti di quel quartiere che sono i custodi di qualcosa in più che di un rifacimento di una divinità egizia bensì dell’intera città romana parzialmente distrutta, anche in tempi recenti, senza che alcuni abbiano proferito parola.
Le Città mutano, sono entità vive e si modificano anche se lo fanno con dinamiche – talvolta determinate dagli uomini altre dalla natura – e tempi che per la brevità della nostra vita biologica quasi mai riusciamo a cogliere.
In questa ottica evolutiva, non mi scandalizza quindi che alcune persistenze possano (e debbano) essere spostate per la loro salvaguardia e/o migliore valorizzazione.
Mi aspetto però che la loro futura ubicazione debba avere un valore simbolico pari al precedente e, naturalmente, coniugata con la funzione conservativa; ma, soprattutto, debba essere contestualizzata in un più ampio processo di recupero dell’ intero periodo ed è evidente che la Storia di quell’ epoca è scritta prevalentemente in quella parte della Città ed è quindi giusto che una nuova collocazione del monumento – anche se non immediata – debba essere ricercata in quell’ area.
Se dunque l’assessore vuole che la sua sia una provocazione intellettuale utile e non si trasformi in una boutade (per alcuni), in un bufala (per altri) o in una mera operazione di comunicazione, si dimostri davvero capace di rilanciare la riscoperta di quel periodo storico magari anche recuperando (e riconoscendo) alcune valide progettualità pregresse che avevano l’obiettivo di ricercare “il futuro nella storia” e coinvolgendo in maniera attiva ed organica il quartiere che è custode (e non proprietario) della memoria e delle persistenze recuperate e ancora (si spera) recuperabili dell’epoca romana.
Altrimenti, ove ciò non fosse possibile per indisponibilità di alcuni od arroccamenti “medievali” di altri, dimostri di avere – anche con scelte che al primo apparire potrebbero sembrare impopolari – misura della prospettiva, senso della Storia e cultura della Cultura sperando che effettivamente e definitivamente essa riesca ad unire ciò che la politica divide.
Jean Pierre el Kozeh
bue_apis

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