L’Associazione Democrazia Partecipata interviene in merito alla questione legata alla presenza femminile negli organismi comunali che – si legge nella nota – ‘continua ad essere utilizzata strumentalmente.
Dagli insospettabili “femministi” emerge chiaro che le donne sono solo un pretesto per nascondere bramosie personali o per garantirsi una parte del consenso all’interno di un partito.
Si sostengono battaglie legali ma non si sottoscrivono manifesti o appelli di donne comuni, della scienza, della cultura che si dichiarano “profondamente indignate” per come sono trattate in pubblico e in privato.
Nessun turbamento quando vengono fatte passare come un oggetto, uno scatolame di cui poter disporre in grandi quantitativi: a volte gratis, altre a pagamento, altre ancora con promesse di posizioni professionali o seggi in Parlamento. Non apparteniamo alla categoria dei moralisti, tanto meno ci interessa giudicare vicende relazionali che trascendono la sfera personale.
Ci sentiamo però di deplorare le finte ed interessate battaglie quando poi non si ha il coraggio di criticare la pubblica arroganza: che recluta personale politico in base all’avvenenza o alla bellezza; che impone discorsi sessisti che delegittimano sistematicamente la presenza femminile sulla scena sociale ed istituzionale; che mina la dignità delle tante “belle figliuole” da parte di maschi ricchi, potenti e potenzialmente incontenibili.
Convochiamolo pure un Consiglio comunale ma apriamolo alle donne, all’ascolto delle loro ragioni, alla denuncia dei soprusi che ricevono. Si abbia il coraggio di chiederlo anche alla Provincia per sostenere e solidarizzare con l’unica rappresentante femminile, legittimamente eletta dal popolo, di cui sono state chieste a gran voce le dimissioni. Si chiarisca, una volta per tutte, se si vuole sostenere la rappresentanza di genere o la rappresentanza di partito.
Dovesse prevalere la prima, come sembra di capire dalle azioni sostenute, l’On Mazzoni dovrebbe essere invitata vivamente a non dimettersi soprattutto dalle dirigenti femminili dell’UDC che tanto si stanno spendendo dopo la sentenza. Un atto di emancipazione e di indipendenza ancor più evidente, sarebbe anche quello di chiedere pubblicamente, agli uomini del partito, di desistere dal chiederne le dimissioni. Si perderebbe, per far posto ad un uomo, un’autorevole, competente e qualificata presenza che sul campo, e non per sentenza, potrebbe sostenere e difendere gli intessi di genere’.